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Il diario di Chiara

Il diario di Chiara in Darjeeling

July 11, 2019
Tutto è iniziato tre anni fa quando, pensando ai festeggiamenti per il 125° anniversario di Babingtons, abbiamo ritenuto giusto trovare un modo per ridare un po’ di quella fortuna che ci ha sempre accompagnati alle comunità che si trovano in condizioni disagiate. Volevamo entrare in India, ma ci sembrava un paese così grande!

Come spesso accade, il caso – ed io non credo nel caso! – ha voluto che Corrado Topi, marito della direttrice della nostra sala da tè, sia socio di Anneysa Ghosh, una giovane donna indiana intraprendente e molto in gamba che si occupa di progetti di sostenibilità in India.

Il suo grande lavoro di ricerca nel nord dell’India ci ha permesso di creare Babingtons for Darjeeling, un progetto rivolto ai giovani “drop-out” della regione appunto del Darjeeling. una piccolissima regione indiana al confine con la Cina. Perché proprio lì? Perché il primo tè servito da Isabel e Anna Maria nella loro nuovissima sala da tè nel 1893 fu proprio un tè nero Darjeeling.

Il mio viaggio in Darjeeling

Un territorio meraviglioso e verdeggiante che si estende ai piedi della catena montuosa dell’Himalaya dove si trovano oltre duemila giardini di tè. Una regione in cui, quando arrivano le piogge dei monsoni, è difficile spostarsi. Una regione in cui il livello di istruzione non è per tutti adeguato, in cui molti ragazzi non hanno la possibilità di andare a scuola o finire gli studi.

Il mio viaggio in Darjeeling

Così, con l’aiuto di Anneysa, siamo entrati in contatto con la Confindustria del Darjeeling e abbiamo organizzato e sponsorizzato due differenti corsi per cinquanta giovani ragazzi: un corso dedicato al settore hospitality – di cucina in particolare – ed uno per formare giovani infermieri. In aggiunta, i ragazzi hanno seguito un corso di inglese intensivo per poter comunicare con chi non parla la loro lingua, come me!

Sei mesi di corsi con un diploma finale e una cerimonia ufficiale di consegna. Un grande giorno per i ragazzi... e per tutti noi!

Ed ora è arrivato il momento tanto atteso: incontrare i giovani che ci hanno scritto, inviato foto e lettere per farci partecipi del loro lavoro.

Parto da Roma piena di piena di emozioni forti, di dubbi e paure. Come mi vedranno? Cosa dirò? Cosa potrò portare da qui, oltre ai nostri cucchiaini d’argento 125 già in valigia? Ma le domande lasciano spazio alla curiosità e all’orgoglio per quello per cui tutti noi da Babingtons, in modi diversi, ci siamo impegnati a sostenere.

Il viaggio fino a Calcutta è facile e comodo: Roma – Dubai - Kolkata. Poche ore di fuso, l’ormai noto shock olfattivo e uditivo e la guida folle nel traffico, per poi prendere con Anneysa un volo fino a Bagdogra, un piccolo aeroporto molto movimentato e caotico, l’unico che porta verso il Darjeeling. Da lì inizia il viaggio in jeep che ci porta a 2000 metri in altezza prima di scendere lungo una strada a dir poco distrutta.

Il mio viaggio in Darjeeling

Finalmente, dopo un’ora di salti e buche in discesa, la jeep si ferma e davanti a noi si apre un mare di nuvole intorno al Glenburn Tea Estate, una tea factory costruita dagli scozzesi nel 1859 e oggi gestita dalla famiglia Prakash, nostra ospite qualche anno fa in Piazza di Spagna.

Oggi l’hotel ha preso il posto della casa del tea plantation manager, ristrutturato con poche stanze, proprio accanto alla tea factory che ancora produce tè Darjeeling secondo le tecniche tradizionali.

Il periodo della mia visita coincide con l’inizio dei monsoni, per cui non posso vedere i peaks, le vette dell’Himalaya all’orizzonte. Un’ottima scusa per tornare qui! In compenso i rumori delle rane, dei grilli, degli uccelli e della pioggia battente sono di grande compagnia.

Il mio viaggio in Darjeeling

Il giorno dopo il nostro arrivo visitiamo la tea factory. Le donne vanno e vengono con le loro ceste piene di foglie di tè appena raccolte, il profumo di foglie fresche stese ad appassire incredibilmente forte e confortante. Assistiamo a tutto il processo di creazione del blend: il withering, il rolling, il drying, il sorting, e il packing. Infine il tea tasting, un’esperienza indimenticabile in quel luogo! È incredibile quanto tutto avvenga in un solo giorno, grazie agli uomini e alle donne che lavorano con dedizione e all’aiuto di qualche macchinario molto rudimentale.

Dopo la visita, ancora in viaggio per 45 minuti scendendo giù per strade scoscese ed impervie, fermandoci nelle piantagioni. Vediamo i frutti della camelia Sinensis (per la prima volta!), la differenza tra le piante di sinensis e assamica, le (sacre!) mucche indiane nelle piantagioni e i danni provocati dai monsoni lungo la strade, le raccoglitrici sotto agli ombrelli (piove!) prima di arrivare in fondo alla vallata dove il fiume Rungeet scorre tumultuoso.

Sto imparando tanto. E ancora ho da imparare… Ho imparato che il bud e le prime due foglioline vengono raccolte una volta a settimana, che il plantation manager conosce esattamente quali appezzamenti sono da raccogliere in quel determinato giorno. Che le foglie di assamica sono molto più grandi delle sinensis – sono grandi come la mia mano! Che due terzi del tè in Darjeeling viene prodotto in soli tre mesi (luglio, agosto, settembre). Che il tè per appassire ha bisogno di 11 ore e 33 minuti di luce. Che 100 kg di foglie di tè fresche producono 22,5 kg di tè. Che una pianta di tè è pronta per dare le sue foglie a 5 anni, ma è a 10 anni che dà il suo meglio.

Che la magia della produzione del tè è questione di 24 ore circa e risiede nel difficile rapporto umidità/calore, per cui il meteo è fondamentale. Che le donne solitamente riescono a raccogliere un’intera gerla la mattina e una il pomeriggio.

Il mio viaggio in Darjeeling

E durante tutta questa meraviglia ogni tanto penso a domani. Domani. Il grande giorno, il motivo per cui sono qui. Con tutta questa pioggia e slavine, riusciremo ad arrivare alla cerimonia? E poi, devo pensare al mio discorso…

Quando sono partita da Roma avevo una certa idea in testa, ma ora, stando qui, respirando quest’aria e attraversando decine di villaggi in cui la povertà è sotto ai miei occhi non mi sento più sicura di cosa vorrei dire.

Trascorro la notte pensando a cosa dire, tra scrosci di pioggia, ranocchie urlanti e moscerini infiltrati in camera.

Improvvisamente mi sento la sciocca occidentale che viene a salvare i poveri. La mia percezione delle cose è cambiata in poche ore, non so come pormi. Il mio discorso non vuole essere quello della salvatrice venuta in Darjeeling per dare una mano e basta. E poi, saranno presenti diverse Autorità locali, nazionali e anche la stampa, secondo Anneysa.

La mattina dopo Anneysa ed io salutiamo tutti, un breve giro di acquisti (ho acquistato qui i cucchiaini d’argento per lo Staff di Babingtons) e subito su per la strada distrutta! Buche, capanne, rocce, pioggia, nebbia, fango, ancora capanne. Mi continuo a chiedere: come fa questa gente a vivere così, in mezzo all’acqua, al fango? E le raccoglitrici di tè? Donne che ogni mattina all’alba si alzano, si infilano i vestiti ancora bagnati del giorno prima per passare la giornata a cogliere foglie di tè, con le dita cotte dall’acqua.

Ci passano davanti ancora slavine, strade interrotte, tranquilli fiumiciattoli trasformati in torrenti furiosi che corrono attraverso le colline così verdeggianti, così ricche di vegetazione. Tutto è così verde, così bagnato, così spettacolare. Tutto appare e scompare sotto una fitta nebbia che trasforma il paesaggio.

E nel frattempo, dentro di me il magone cresce. Cosa dire? Anzi, come dire quell’unico pensiero, senza essere retorica e paternalista?

Due ore dopo la nostra jeep ci lascia all’ingresso di un albergo nella cittadina di Darjeeling. Ancora nebbia, fittissima, senza nessun panorama. Solo e soltanto nuvole basse e pioggia.

Trovo un bagno per truccarmi e sistemare i capelli, sconvolti e intrattabili dall’umidità, e subito vengo accompagnata in ascensore al 5 piano dove trovo una decina di tavoli. Ad attendermi 46 ragazzi e ragazze, tutti vestiti in their best e molto molto timidi.

Fatte le presentazioni con le autorità e le insegnati dei corsi, in punta di piedi mi presento ad ognuno di loro e loro, uno ad uno, in inglese, si presentano a me. Chettri 18 anni, chef, Subba 19 anni infermiera, Rai 26 anni, chef. E ancora Sharma, Sherpa, Tamang, Limbu, giovani madri con figli al seguito, madri che sono venute a ritirare il diploma per i propri figli. 46 giovani, alcuni dei quali con background molto difficili, entusiasti di essersi diplomati e pronti a mettersi in gioco nel mondo del lavoro.

Un’esperienza indimenticabile! Mani sicure, mani tremolanti, mani sudate, sorrisi, abbracci, baci, lacrime. L’aria in quella sala era piena di tutte le emozioni possibili, mie e loro! Paura, curiosità, orgoglio, timidezza…

E poi inizia la cerimonia. Le autorità parlano dell’importanza del progetto, di quali difficoltà hanno avuto in passato, di quanto faranno in futuro. Ringraziamenti generali e poi tocca a me.

Beh, ho fatto il mio discorso. Emotivo, sicuramente, e anche molto appassionato. Erano tutti con me: la famiglia Bedini, lo staff di sala, di cucina, dello shop e dell’accoglienza. I miei figli. Eravamo tutti lì ad incoraggiare quei 50 ragazzi, anzi, 46 poiché 4 non sono riusciti ad arrivare per colpa delle slavine lungo la strada.

Che emozione, che orgoglio consegnare i diplomi! Non avevo mai fatto una cosa simile nella mia vita.

È ancora non è finita: a sorpresa (anche per me!), a molti ragazzi è stato consegnato un contratto di lavoro, controllato in precedenza da Anneysa per essere certi che fosse equo e giusto. Insomma, una grande soddisfazione. Siamo riusciti a smuovere una situazione stagnante tanto che (questo fa ridere, ma Anneysa non lo mollerà) l’ex presidente di Confindustria, a totale sorpresa di tutti e forse mosso da orgoglio personale, ha dichiarato che avrebbe finanziato un ristorante gestito interamente da 10-12 ragazzi che avrebbero voluto metterlo in piedi. E lo avrebbe chiamato Bedini multicuisine restaurant! Chissà se si realizzerà davvero…

Dopo la Cerimonia incontro la stampa e poi via di corsa giù per le montagne prima dell’arrivo del buio. Tre ore di jeep mi riportano alla (quasi) normalità, ma con il cuore gonfio di orgoglio. E non è ancora finita!

Il giorno dopo mi sveglio con una grandissima sorpresa: siamo sulle prime pagine dei quotidiani nazionali indiani!

Well done girls and boys! Well done Hausos and well done Babingtons!